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Maria Tripoli, nata a Catania il 30/07/1959, vive ed opera a Catania.

 

Di straordinario impatto visivo le sue tele senza veli, definite di notevole livello pittorico da critici come Francesco Gallo, Vittorio Sgarbi e da cattedratici come Sergio Collura docente di estetica presso l’Accademia di Belle Arti e Carmelo Strano, filosofo e docente di Storia dell’arte,” … Le superfici materiche sono brillanti senza artifizi-ha aggiunto Strano- la tecnica è matura e moderna in specie nelle opere di produzione più recente dove Tripoli si impegna efficacemente nella velatura ponendosi fra l’informale ed il figurativo. I soggetti infine diventano entità metafisiche in cui si riscoprono intimità recondite sempre perfettamente delineate nel particolare quasi d’Annunziano…”. Dal Premio Santhià e Artefiera di Bologna, sino al Premio Internazionale d’Arte a tema 2008 “ Il Giocattolo” di Zagarolo (Roma) e la personale “Emozioni e gesti” nel giugno 2013 presso la galleria d’arte Il Sagittario di Messina, per citarne alcune, alle personali organizzate da pubbliche amministrazioni (le ultime Giugno 2009 e 2012) e fondazioni culturali in Italia e all’estero Tripoli ha ottenuto ampi consensi. Anche Vittorio Sgarbi durante la premiazione del Premio Calabria ebbe modo di esprimersi, alla sua maniera, nei confronti della poliedrica pittrice …”. Chi meglio di Tripoli ha saputo esprimere in arte la condizione della donna vista dall’altro sesso?  “Così è se vi pare” direbbe Pirandello. “La sua opera, dal periodo blu al periodo rosso, segna l’interna inclinazione dello spirito a deviare dalle forme morali stereotipate per affermare non solo la libertà del volere ma soprattutto, al di là di ogni ipocrisia prudenziale, la libertà di esserci e di assomigliare solo a se stessi.

E’ la materia sensibile-materia inerte e carne, scrive Well- il vaglio del reale nel pensiero: è la carne che lavora la materia, e vi aderisce fino a diventare essa stessa materia docile. E la Tripoli sembra obbedire a tale dettato.

Le opere degli ultimi anni tra cui una nutrita collezione di disegni e pastelli (circa 30) diversi nella tecnica e nelle figure, sono per lo più ritratti ironici e drammatici sul ruolo della donna, realizzati con una tecnica antica (velatura) attualizzata in un nuovo contesto dove il segno forte e deciso traccia le figure uniche protagoniste di un mondo immaginario e globalizzato in cui il sessismo di genere crea de- stabilità, sino ad arrivare alle opere del 2014 in cui l’artista si impegna ad elaborare un progetto di educazione e capovolgimento della donna per la prevenzione di fenomeni di violenza. La questione della libertà femminile e la consapevolezza di sé e inviolabilità del corpo femminile è rivisitato attraverso un ciclo che porta il nome delle celebri bambole “Barbie” qui violate, capovolte dal pensiero maschile e sessista con la finale presa di coscienza attraverso miti e leggende e il capovolgimento delle consuete fiabe per un progetto di formazione ed educazione sul fenomeno sempre più frequente e preoccupante della violenza maschile sulle donne.

. La serie di mostre programmate rappresentano un lungo percorso esistenziale, culminato nell’esordio letterario del romanzo autobiografico edito da Akkuaria “La casa dell’adolescenza rubata”, in cui in chiave catartica e di autoanalisi l’autrice analizza i percorsi vitali di una vita autentica piena di sofferenze, abusi, inganni, violenze e brutalità. In un vortice narrativo e pittorico vengono ripercorse le vicissitudini più importanti e significative di una donna fra le donne che hanno reso Maria Tripoli la donna che è oggi.

Le mostre vogliono essere un lungo viaggio emozionale tra tormenti e passioni con un messaggio educativo a tutte le donne che subiscono ogni angheria. Un atto di coraggio di una donna siciliana che ha saputo trasformare la propria sofferenza nel vero talento del vivere quotidiano dimostrando che la creatività può essere un’ancora di salvezza ad una vita drammatica. L’ultima esposizione è stata presentata alla Pinacoteca di Bronte (CT) nel mese di dicembre 2014, con testo critico di Giovanna Giordano. Il titolo della mostra emblematico “Il popolo maligno e le donne che ancora sognano” ci riportano ai sogni di amore di donne illuse che ancora credono al principe azzurro e alla rappresentazione di “Barbie” stravolte ed immortali che ci riportano al tema caro di Ibsen della “Casa di bambola”.

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